Incipit
Il fiume più lungo d’Italia dovrebbe essere un patrimonio; antropologicamente parlando, invece, ora si va dicendo che è una fogna. Screditandolo lo abbiamo rimosso. Il Po è una cosa più viva di noi, che in pochi milioni di anni ha riempito di sabbia il mare che nel Pliocene occupava la pianura: è bellissimo e desolato come un deserto. Non ci va nessuno. Nessuno va più sul sabbione; eppure anche se ci vai da solo, al vespro, non ti senti solo: c’è il gabbiano, l’airone, il cormorano, il siluro. Fa poco clamore quando minaccia un’alluvione, poi ritorna nell’alveo e non se ne sente più parlare. Così il Po resta deserto, ed è meraviglioso. Eppure il fiume era una fonte di cibo, le cucine dei Campi sono piene di pesci dulcacquicoli. L’acqua è comunque ancora trasparente e non è più sporca di località balneari blasonate. Il Po è un dio dimenticato, pagano, pieno di silenzio e meraviglia.
Il progetto
Il fiume Po ha sempre rappresentato un riferimento per la Pianura Padana, per la sua cultura ed i suoi abitanti. Il fiume, con le sue ricchezze ed il suo scorrere inesorabile, è anche la metafora della vita. Del viaggio.
Nel 2021 l'ho percorso in kayak in due settimane per raccontare, con immagini e parole, una fetta di territorio italiano in fase post-pandemica e ora minacciato da cambiamenti climatici. Da Torino a Venezia, un viaggio totalmente improvvisato di 700 km, in solitaria. Ho dormito in tenda ed ho attraccato dove più opportuno per incontrare chi, questo fiume, lo vive e lo ama. Ho documentato ogni giornata in presa diretta attraverso i social network, soprattutto con le fotografie, che costituiscono il corpo del reportage di questo viaggio in una fetta di territorio italiano quasi dimenticato: un mosaico di spazi, volti, strani incontri, luoghi bizzarri, malinconici, e situazioni talvolta grottesche.
Contribuire a restituire la dignità al Grande Fiume, a ridosso del quale sono cresciuto e ancora vivo, facendomi interprete della svolta dopo la pandemia e della volontà di ricominciare: sono stati questi i presupposti alla raccolta fondi da destinare all’associazione no profit a me più cara, quella che porta il nome di Luca Noli.
Il 14 luglio, con un giorno d’anticipo rispetto alla tabella di marcia, si è conclusa la mia avventura in solitaria, a bordo di un kayak, da Cardè (Cuneo) a Venezia.
Sin dal primo giorno mi sono reso conto che la particolarità degli incontri con la gente, seppur radi, erano di gran lunga superiori alle mie aspettative. Tuttavia non è stato mai facile conciliare l’attività fisica, che prevedeva circa 50 km al giorno di percorrenza sul fiume, con quella fotografica, proprio per la necessità di rientrare in alcune tempistiche prefissate e che, se non rispettate, avrebbero compromesso l’arrivo a destinazione nei tempi prestabiliti. Per questo motivo ho dovuto centellinare e selezionare gli approcci con la gente del fiume, limitandomi a raccogliere le storie più interessanti e, conseguentemente, a fotografarne i protagonisti. Ne è nato un lavoro visivo totalmente casuale e molto spesso dettato dalle sensazioni del momento.
La lunga discesa del Po ha fatto sì che trascorressi gran parte del tempo in totale solitudine, lontano da centri abitati e da qualsiasi elemento antropico.
Parallelamente ho cercato di stabilire delle connessioni con le poche persone incontrate, specialmente in alcuni momenti di difficoltà dovuti all’esaurimento delle scorte di cibo e acqua, ai trasbordi per superare le innumerevoli dighe del tratto piemontese o quando, quotidianamente, ricercavo luoghi adatti e sicuri per il pernottamento.
Le mie richieste d’aiuto sono avvenute in modo del tutto fortuito e sono sempre state soddisfatte, consentendomi di incontrare persone incredibilmente ospitali ed accoglienti, soprattutto quelle legate in modo viscerale al fiume.
In alcuni casi, la diffidenza iniziale dei miei interlocutori è stata spazzata via dal desiderio comune, e reciproco, di conoscersi ed ascoltarsi.
Ho scoperto la bellezza dell’umanità già il primo giorno di viaggio, accolto come un fratello da due sconosciuti a bordo di una vecchia barca di legno, con un bicchiere di birra e un piatto di alici sott’olio.
Non contento, i miei salvatori mi hanno poi condotto tra le rapide ad un approdo piratesco, offrendomi ospitalità nel loro circolo nautico.
Talvolta ho fatto incontri con personaggi incredibili e ho vissuto situazioni al limite del grottesco, degne di un libro di Stefano Benni, scoprendo la bellezza dell’esser fuori da ogni schema logico e che per trasmettere amore non è necessario avere delle regole, né fisiche né morali. Ho conosciuto un giovane parroco senza la talare, con del vino in mano e altro già in corpo, che trova la sua dimensione celestiale spogliandosi delle cose formali per essere al servizio dell’essere umano. Insieme a lui una donna dal volto tatuato con linee tribali e uomini nerboruti, a petto nudo e in là con gli anni, desiderosi di condividere un bicchiere con me e scambiare due parole.
Lello, un ragazzo sulla mia età che ha deciso di passare un periodo sul fiume, in tenda, nutrendosi anche di quello che pesca, per ritrovare un po’ di pace interiore. Non aveva nulla ma mi ha regalato delle sigarette per il viaggio.
Daniel e sua moglie, provenienti da Cuba, prima in Sardegna per raggiungere figlio e nipote, poi nelle campagne ferraresi a spaccarsi la schiena nei campi di angurie in cambio di un lavoro sicuro. Mi hanno regalato birre e frutta.
E ancora eremiti che vivono in case galleggianti, veri e propri lupi di fiume in luoghi al confine tra giustizia e crimine: dopo avermi a lungo studiato, comprese le mie buone intenzioni, mi hanno concesso ogni cosa come si fa con gli ospiti importanti, regalandomi una notte, al riparo, sull’acqua.
Ho rischiato la vita nel delta del Po per l’arrivo di una tempesta e sono stato salvato dai vongolari, che mi hanno offerto ristoro nella loro baracca.
Perché c’è qualcosa di divino che accompagna il lento avanzare dei viaggiatori solitari, siano essi sulla via di Gerusalemme, della Mecca o di un’umile Venezia.
È la provvidenza, e non ti lascia mai solo.
Il Po è così. È un panta rei di incontri, di genti, di volti e di storie.
È la vita, che va, ed il fiume diventa metafora di ogni cosa.
In tutto questo le anime del fiume esistono, ed è quello che sognavo di incontrare ancora prima di partire. Mi hanno offerto tutto ciò che potessi desiderare, sempre con la gioia di poter aiutare. Credo che, in fondo, sia uno dei sensi della nostra esistenza.
Dal punto di vista artistico questa esperienza mi ha permesso di cambiare modo di fotografare, concentrandomi soprattutto sulla creazione di un rapporto con i soggetti che avrei voluto fotografare.
Ho avuto un approccio decisamente lento e ragionato con la fotografia, nonostante fossi comunque di passaggio, concentrandomi sul riprendere gli spazi ma soprattutto l’essere umano, vero protagonista di questo viaggio e di questi luoghi.
Ho capito ben presto che la mia visione non poteva fare a meno di quelle tracce antropiche, inanimate o meno, lungo le sponde del fiume, rubando del tempo al mio lento avanzare anche per fotografare le sculture casuali, lungo le rive in secca, in cui oggetti di umana natura e natura stessa si incontrano e fondono, creando forme bizzarre e metafisiche.
In ogni caso non sono andato alla ricerca di composizioni fotografiche particolari e non ho ricercato l’estetica nei miei scatti, ma ciò che potesse essere più funzionale alla mia narrazione, basandomi pertanto più sul contenuto che sulla forma.
Walter Borghisani, curatore del progetto, aggiunge:
"Dal mio punto di vista mi permetto di reiterare la valenza multipla di questa impresa.
Nello specifico:
etica: perché lo scopo primario dell’impresa è stato quello di raccogliere fondi e pubblicizzare una associazione no-profit dedicata allo scomparso Luca Noli, caro amico di Marzio
culturale: perché Marzio è un uomo del fiume e, a maggior ragione dopo il periodo di isolamento forzato all’interno delle nostre terre dovuto alla pandemia, Un Po Mio ha voluto provare a riportare l’attenzione sul fascino di questi ambienti e su quanto potrebbe essere interessante riscoprirne le peculiarità
artistico: perché Marzio si è proposto di assolvere ai due scopi precedenti attraverso la fotografia. Un Po Mio va visto non soltanto nell’ottica di una crescita personale e morale ma anche come evoluzione artistica del fotografo, che abbandona la “distanza” della fotografia di strada nella ricerca di quel contatto che è il punto di vista tra chi vede e chi viene visto. In questo senso il fiume, scorrendo tra due sponde, assume il medesimo valore che ha la fotografia nella definizione di ritratto: il punto di incontro (o di scontro, o di compromesso) tra il fotografo ed il suo soggetto.
Il lavoro che ne è nato è caratterizzato da una sua poetica che, per l’appunto, “scorre” tra i canoni formali del ritratto moderno e l’approccio sensibile di Marzio. Timido, come l’aspetto che hanno le persone ritratte, e malinconico, come lo stato dei luoghi solo apparentemente inospitali e dentro cui trovano agio tutti i protagonisti di questo mondo ai limiti dell’allegoria".