Gairo (Sardegna), luglio 2017. 1500 anime arroccate sul monti dell’Ogliastra, in provincia di Nuoro.
E’ qui che va in scena il primo torneo ufficiale della stagione di “Sa Murra”, antico e leggendario gioco di cui la Sardegna custodisce, gelosamente, la tradizione. La morra, da queste parti, è una cosa seria. E, soprattutto, non è per tutti.
Si impara a giocare da bambini, osservando avidamente le gesta dei murradores più esperti, i giocatori più anziani.
Quattro giocatori per volta, due coppie, otto mani che si intrecciano, un punteggio da raggiungere: 16.
Un punto che si ottiene indovinando la somma dei numeri esposti con le mani, che devono essere ben visibili a giocatori ed arbitri. E se entrambi i giocatori indovinano il punto si ripete la giocata.
In Sardegna la morra evoca sfide epiche, fatte di sudore, mani ruvide e forti, braccia nerborute di chi è abituato ai lavori più duri, sguardi affilati che penetrano l’anima. Sangue.
E’ anche questo, tra mito e realtà, a donare a questo gioco un fascino ancora più indiscutibile.
Un tempo Sa Murra era bandita dai luoghi pubblici in quanto considerato gioco d’azzardo e ad alto rischio, dato che le partite, talvolta, si concludevano drammaticamente a causa di incomprensioni tra i giocatori. Oggi, invece, è una disciplina consentita e riconosciuta dalla Federazione Giochi e Sport Tradizionali, associata al CONI.
In ogni caso chiamarlo gioco è sminuirne il senso: è una battaglia.