MARZIO TONIOLO
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Vita ed ultimo periodo


Mio nonno Luigi (per tutti Gino) nacque nel lontano 1932 a San Fiorano, paese in cui poi ha sempre vissuto.
Figlio di Ernesto Verani e Giovanna Bassanini, aveva due fratelli, Sergio e Giuseppe.
Nel 1957, poi, sposò mia nonna Ines, dalla quale sono nacquero i due figli, mia madre Francesca e mio zio Graziano.
Da giovane aveva lavorato col padre, il suo compito era quello di andare a prendere il latte nelle cascine. Poi, in età avanzata, era stato assunto come portiere in ospedale.
Grande appassionato di ciclismo, non aveva mai abbandonato la bicicletta, suo grande amore, di cui mostrava con orgoglio le numerose fotografie che lo ritraevano in sella, dapprima come dilettante e poi come amatore.
La sua vita è trascorsa nella semplicità di chi nasce e cresce in questa zona d’Italia e non ha troppe pretese. Insomma, un’esistenza tranquilla.

Negli ultimi anni, poi, la situazione era andata via via peggiorando. D’altronde gli anni pesavano sempre di più e ormai si andava verso i 90. La demenza senile, lentamente, lo conduceva subdolamente a chiudersi nel suo mondo. La routine e la quasi assenza di stimoli dovute allo stile di vita e al luogo in cui viveva, poi, non hanno certamente giocato a suo favore. Tuttavia è sempre stato un uomo allegro, divertente e di buon cuore, conosciuto in paese da tutti proprio per questo suo modo di essere.

Durante il lockdown erano sorti parecchi problemi dovuti, principalmente, alla memoria. Nella prima fase, specialmente, è stato estremamente difficile fargli capire quale fosse “il problema” ma, soprattutto, insegnargli le regole. Per questo motivo, per un periodo, avevamo deciso di impedirgli di uscire. Da lì le sue condizioni erano notevolmente peggiorate, favorite da una condizione di ipocinesia che lo rendeva sempre più confuso.
Quando le restrizioni, poi, sono state allentate, riprendere i suoi gesti quotidiani al di fuori delle mura domestiche è stata, per lui, una liberazione totale.
In pochi giorni erano cambiati, in positivo, sia il suo umore che le sue condizioni fisiche.

Tuttavia, a luglio, era caduto dalle scale. Le articolazioni gli facevano sempre più male e l’equilibrio era diventato precario. Fortunatamente non si era fatto particolarmente male.

Ad agosto, poi, un’altra caduta. Nessuna frattura, ma tanto dolore.
Dopo due giorni aveva smesso di camminare. Anche con l’aiuto di una o più persone faticava a stare in piedi ed aveva perso quasi completamente la coordinazione delle gambe, che non rispondevano più ai comandi.
Così avevamo deciso di chiamare un’ambulanza, temendo che ci fosse dell’altro. Gli esami, però, non avevano evidenziato particolari problemi.
Non potendo più salire le scale, avevamo allestito una camera da letto al piano terra. Qui, a causa della sua condizione di immobilità, la sua agitazione era aumentata e, continuamente, cercava qualcuno che l’aiutasse a spostarsi dal letto alla poltrona e viceversa.
Le difficoltà di gestione ci avevano fatto propendere per l’assunzione di una badante, con la quale avevamo già definito gli accordi. Mia madre era venuta qui dalla Sardegna per occuparsi della parte burocratica e, a breve, la badante avrebbe iniziato a lavorare a casa nostra.
Quando mia madre è ripartita la situazione è precipitata.
Il fatto che mio nonno si muovesse sempre meno, nel frattempo, ne aveva peggiorato la condizione. A questo si era aggiunta la febbre, probabilmente a causa dell’aria fredda di un condizionatore. Nel mentre, lui, non faceva altro che dormire.
Così avevamo richiesto l’intervento di una nuova ambulanza, anche per scongiurare altri tipi di problemi legati all’alta temperatura corporea. Nonostante gli esami relativi ad eventuali traumi da lui riportati avessero dato esito negativo, dalla tac era è emerso un decadimento cognitivo molto importante.
A quel punto ci siamo resi conto che tenerlo a casa, nonostante l’aiuto di due persone che, al mattino, lo lavavano e lo cambiavano, non era più possibile. Ogni qualvolta decidessimo di spostarlo o girarlo si lamentava tanto e si agitava.
Mio nonno aveva bisogno di assistenza continua e la soluzione migliore, per lui, poteva solamente essere una casa di cura.
Così mia madre era tornata dalla Sardegna per una seconda volta e, in pochi giorni ed in accordo con mio zio (e un po’ meno con mia nonna), mio nonno era stato trasferito in una R.S.A. di Maleo, un paese qui vicino. Il problema, a quel punto, era lasciare un uomo in condizioni molto precarie (il medico di base parlava di giorni o al massimo mesi di aspettativa di vita) e non vederlo più per due settimane, nel momento in cui sarebbe stato sottoposto a quarantena (nonostante il tampone il test sierologico avessero dato esito negativo) a causa delle nuove disposizioni legate al Covid-19.
Da quel momento mia nonna si è chiusa in se stessa, oppressa dai sensi di colpa per aver mandato suo marito, a suo dire, “a morire lontano da casa”.
Alcuni giorni dopo, l’animatrice della struttura mi ha inviato un video di mio nonno e lì ho capito che eravamo giunti alla fine.
Tre giorni dopo, Gino, è morto.
Su richiesta di mia nonna la salma è stata portata a casa, cosicché amici e parenti potessero salutarlo un’ultima volta. Questa cosa l’ha resa felice.
Mia madre è tornata qui, dalla Sardegna, per la terza volta in due settimane.
L’8 settembre la salma di mio nonno è stata tumulata nella tomba di famiglia del cimitero di San Fiorano.



La storia di Gino raccontata da Reuters (in lingua inglese)
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I santini (in lingua inglese)
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"Ho perso mio nonno durante la pandemia" Open link
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